Il cavallo di Nietzsche: era tutto vero? E Dostoevsky?

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Settimana scorsa abbiamo approfondito l’episodio del cavallo di Torino del 1889, ovvero quel momento che, secondo la maggior parte dei manuali di storia e di filosofia, ha segnato definitivamente il passaggio di Friederich Nietzsche al lato oscuro della mente umana: la follia.

I libri non hanno sempre ragione.

Oltre ad essere stato inserito in tantissima letteratura riguardo al filosofo, l’episodio in questione è stato anche d’ispirazione per il film The Turin Horse (Béla Tarr, Ágnes Hranitzky – 2011), l’episodio è entrato poi nella cultura pop ed è al giorno d’oggi dato per certo… ma è davvero andata così?

Se si va a vedere la storia nel dettaglio, risulta quanto meno strano rendersi conto che le prove concrete dell’esistenza di tale cavallo siano praticamente assenti, ed è ancora più strano se, leggendo Dostoevsky (uno degli autori più riveriti da Nietzsche stesso, NdA), ci si imbatta in un episodio pressoché identico a quello che la storia ha voluto affibbiare alla vita del filosofo.

Delitto e Castigo, Fedor Dostoevsky

L’opera in questione è stata pubblicata nel 1866, e già qui abbiamo un primo campanello d’allarme se confrontiamo la data con quella del tracollo mentale di Nietzsche (1899). Nel libro Delitto e Castigo, Raskolnikov, che sta per assassinare due anziane con un’ascia, giace a letto in preda all’ansia e cade in un sonno turbato e profondo in cui vede se stesso da ragazzo, mentre con suo padre percorre le strade di una città di provincia: fuori da un pub, una folla ubriaca si raduna intorno ad un vecchio cavallo legato ad un carro troppo pesante per lui.
Il proprietario del cavallo inizia a fustigare con forza l’animale, e quando qualcuno in mezzo alla folla esultante si oppone alla violenza, l’uomo risponde dicendo che la bestia è di sua proprietà.

Raskolnikov, nel suo io giovane, chiede all’uomo di smettere ed in lacrime corre verso il destriero e lo guarda negli occhi: mentre lo fa viene colpito da una frustata e la violenza non si ferma, al punto tale che diventa evidente che l’animale morirà. Raskolnikov si lancia contro il muso insanguinato dell’animale, lo abbraccia e lo bacia attorno agli occhi, chiedendo a gran voce che la barbarie smetta.
In quel momento suo padre interviene e lo allontana dall’animale, ed è allora che Raskolnikov si sveglia, sudato ed in panico. Capisce quindi il senso di quel sogno, ovvero il fatto che lui era contemporaneamente sia il ragazzino, sia il cavallo, sia l’uomo con la frusta – e nonostante questo, Raskolnikov si alza dal letto e si prepara a commettere il suo omicidio.

L’autore e gli animali

Il cavallo era un animale importante per Dostoevsky, tanto che nei suoi diari riflette sul come il modo in cui ci rapportiamo agli animali rifletta il nostro approccio verso altri umani; riflettendo su un episodio di violenza su un cavallo al quale assistette da piccolo, l’autore afferma che il fatto fu “qualcosa che rappresentava molto graficamente il collegamento tra una causa ed il suo effetto. Ogni colpo inferto all’animale era il risultato diretto di ogni colpo che era stato inferto sull’uomo“.

L’episodio del cavallo in Delitto e Castigo era così importante che Dostoevsky aveva provato ad inserirlo nella storia sei volte prima di trovare il punto giusto per raccontarlo, ed un fatto simile ricompare nel suo ultimo romanzo, I Fratelli Karamazov.

Il cavallo di Torino: verità o finzione?

Nietzsche aveva 44 anni all’epoca del tragico episodio a Torino – la stessa età di Dostoevsky al tempo di Delitto e Castigo – e l’anno trascorso in Italia fu tra i più produttivi di tutta la sua carriera. Eppure, quell’anno fu segnato anche da un forte declino psicologico: i suoi padroni di casa, la famiglia Fino, parlarono di comportamenti instabili (pare che Nietzsche ballasse nudo nella sua stanza e passasse ore a cantare e suonare il pianoforte).

Sappiamo molto poco su quanto accadde quel gennaio del 1899.
Non v’è dubbio che Nietzsche venne trovato per strada, come è certo che venne poi mandato in un sanatorio di lì a poco, e l’unico riferimento affidabile al cavallo viene da un’intervista fatta anni dopo da un giornalista al padrone di casa fino… undici anni dopo il fatto, ed in questa versione dei fatti si parlò solo di un cavallo  che il filosofo aveva abbracciato e che non voleva lasciar andare: mai di episodi di violenza da parte del padrone dell’animale.

Nell’analizzare l’opera del filosofo tedesco, molto affermano che la sua sia una filosofia estetica in cui Nietzsche afferma la necessità di vivere la vita come si scriverebbe letteratura: nella Gaia Scienza, per esempio, scrive: Una cosa è necessaria. “Dare uno stile” al proprio carattere: è un’arte grande e rara!”

E se lui stesso consiglia, anzi vede come necessario, il fare della vita un’opera d’arte, non ha forse senso riflettere su come la sua stessa vita rispecchi così tanto un’opera letteraria?

Vera o no, la storia del cavallo è parte integrante di come la vita e l’opera di Nietzsche viene interpretata, e questo significa che anche la valenza simbolica profonda di questo nobile animale non può essere ignorata ogni qualvolta si parli di lui.